E' una mattina di luglio...

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È una mattina di luglio. Una bellissima mattina. Di quelle limpide, con un bel cielo terso e l'aria fresca portata a spasso da una leggera brezza. Di quelle mattine d'estate un po' speciali, senza il caldo che ti opprime, ma con tutto il godimento del sole. Di quelle mattine che mi viene voglia di vivere, uscire o fare qualcosa di speciale.

La casa è immersa nel sole e nella luce.

Un silenzio denso e allegro aleggia qua e là.

C'è un'atmosfera speciale. Come quando da bambini si aspetta il natale o che arrivi l'ora della festa di compleanno. Dal silenzio, la casa si riempirà di rumori e di amici e di regali.

Ma è già successo qualcosa.

Si respira nell'aria.

È come se il tempo si fosse improvvisamente dilatato, lasciando che i minuti e le ore scorressero più lente.

E uno strano senso di pace si è depositato tutto intorno. Sulle tende sui muri, sulle lenzuola, il divano, lungo i mobili, per riempire completamente l'aria che respiriamo.

Giro per casa senza sapere dove andare e cosa fare, come in attesa di un segno.

Antonio più posato, armeggia qualcosa dando a vedere che sa cosa sta facendo.

Ogni tanto ci incontriamo. Curiosi, vagamente apprensivi, del tutto ignari di quello che ci sta aspettando. In attesa, comunque. In attesa di un segnale ben preciso.

Siamo sempre noi. Gli stessi del giorno prima. Eppure sappiamo già che è tutto diverso. Ma proprio diverso. Non mi riesco ad immaginare 'come' sono diversa. Cosa cambierà da oggi? Chi sarò io? E come diventerà Antonio?

Sono felice? Non capisco veramente niente. Dove sono, cosa voglio..

Eppure godo di questa aria così leggera e dolce. Irresistibile. Che mi avvolge, mi strega.

Eppoi arriva. Il segnale.

Sembra il miagolare di un micio microscopico. Ma arriva dritto al cuore facendomi sobbalzare.

È un suono lieve eppure scuote come i bombardamenti.

Corriamo tutti e due. Fino a quel momento ci siamo trattenuti. Io perchè ci tengo molto a non fare la 'mamma ansiosa', Antonio forse perchè risparmia saggiamente energie preziose che ci serviranno più avanti.

 

Adesso il segnale è arrivato, ci chiama.

Alberto ci chiama a fare i genitori.

E noi corriamo entusiasti.

Ti guardo. Ti tocco. Sei così piccolo in questa culla. Tutto rugoso, con gli occhi ancora gonfi e il naso schiacciato. Capirei se qualcuno mi dicesse che non sei carino, eppure io ti trovo stupendo. Con quello sguardo serio e un po' altero che sembra voler dire 'scusi lei chi sarebbe? Si presenti almeno'.

Ti trovo adorabile.

Eppoi ancora ti guardiamo, ti tocchiamo, ti abbracciamo, ti culliamo. C'è una dolcezza immensa con la quale ti vogliamo avvolgere e proteggere. E amare. E conoscere. Chi sei? Cosa ti piace, e come ti piace?

E pensare che fino a stanotte era tutto diverso..c'era solo un'idea di te. E adesso sei qui.

Tutto è iniziato un giorno e mezzo fa. Ero a fare la spesa, quando camminando tra gli scaffali ho iniziato ad avvertire un dolore forte e chiaro un dolore che mi faceva venire voglia di piegarmi in due.

C'erano state delle avvisaglie, già un'ora prima. Ma tanto so che ci vorrà tempo. Magari poi passa tutto e tanto vale continuare a fare qualcosa. Tanto vale distrarmi.

Provo a finire di fare la spesa, magari ce la faccio ad arrivare alla cassa e a pagare.

Devo anche tornare a casa a piedi.

Ma più i minuti passano, e più ho solo voglia di tornare a casa e di chiudermi nella sua intimità. Alla fine mi arrendo. Con aria indifferente poso il mio cestino pieno lungo un corridoio ed esco.

A casa, finalmente a casa.

A casa. Antonio. Mi guarda. Lo guardo. Ridacchio. Non abbiamo molto chiaro cosa ci aspetta. Disdiciamo la cena da mia madre? Sì. No. Vabbè proviamo. No non proviamo. Non ho voglia di uscire. Mi sento bene e forte, ma l'idea di affrontare il mondo fuori, mi fa sentire vulnerabile e mi spaventa.

È la stessa cosa che sentirò la sera dopo quando Polina e Sofia mi chiederanno se voglio andare in ospedale. È a casa che voglio stare. Io l'ho sempre saputo.

La notte passa. Antonio dorme. Io nel letto ascolto il dolore che va e che viene, ritmico, frequente. Ogni tanto mi assopisco e poi mi risveglio con un'altra contrazione. Sono tranquilla. È arrivata anche Polina, che adesso dorme di là. Dalla gola mi escono mugolii. Dovrei cantare? Respirare? Non lo so più. Come la marea della notte, arriva con fragore, eppoi lentamente torna indietro, per poi frangersi di nuovo sulla spiaggia.

La mattina è luminosa. Ma quello che succede fuori mi interessa fino a un certo punto. Mia madre che chiama. Mio padre che chiama. Antonio che mi chiede cosa voglio che dica loro. Va tutto bene. Non voglio nessuno. Solo noi. Non so se me la perdoneranno. Per un motivo o per un altro a loro sembra che sto facendo una cosa avventata o pericolosa. Magari si sentono ingiustamente esclusi. Ma la vita è mia. Lo sento con chiarezza. Me lo dovrò ricordare anche quando mio figlio sarà grande..

La dilatazione è ottima. Per l'ora di pranzo siamo pronti, dice Polina. E allora cambio posizione, mi muovo, mugolo. Prova a mangiare, almeno a bere. Non mi va niente. Sento che se tocco qualcosa vomito. Giro la casa. Mi sto annoiando. Non succede niente. Stare così in questo limbo doloroso mi affligge. Allora un bel bagno. Mugolo un po' meno nell'acqua e ogni tanto mi appisolo. Intanto in cucina mangiano. È arrivata anche Sofia. Che bello che sono qui tutte due. Mmmmmmmmh.

Basta bagno. Si sono fermate le contrazioni e non va bene.

Sempre appoggiata a Antonio ritorno nel limbo. Passa anche il pomeriggio. Polina mi fa muovere e ballare. Sofia chiude tutte le persiane e restituisce la casa alla penombra e poi al buio della sera. Antonio esce a fare due passi. Già stanco morto. Io non ne posso più. Oltre al dolore c'è proprio la noia. Sono stufaaaaaaaaa! E allora mi chiedono se voglio andare in ospedale. Il bimbo sta bene, ma magari con un po' di aiuto..

Mi prende il panico. Non ci voglio andare. Ma forse loro sono preoccupate? Non lo capisco. Antonio lo è. Mia madre e mio padre che continuano a telefonare. Il tempo passa e non succede ancora niente.

Bussano alla porta. Signora? C'è una signora che sta male?

È la voce di una donna. Rimaniamo tutti impietriti. Avevo pensato tante volte ai vicini nei giorni prima del parto. Chissà se mi sentirò a mio agio sapendo che tutto il condominio mi sentirà. Col passare delle ore è stato l'ultimo dei miei pensieri. E ora mi sento come quando hai fatto un festino a casa e i genitori tornano prima del previsto.

Ci scuote Polina. Dai Antonio, valle a dire che è tutto a posto.

Ma la signora se n'è già andata. Vabbè domani ci penseremo.

Poi si stufa anche Sofia. E mi inizia ad aiutare. Mi aiuta a sentire il mio corpo. A collaborare attivamente. Non finiremo mai di esserle grati per questo.

Fino a quel momento avevo preso il parto come qualcosa che succede. E in fondo è anche così. Mi ero messa ad aspettare di sentire qualcosa. Adesso invece facevo qualcosa. Durante le contrazioni spingo, in modo del tutto diverso da come si fa di solito. Ho capito. Vado.

Non mi ricordo quando è uscita la Coca Cola. Non la bevo mai. Ma improvvisamente, dopo i primi sorsi a fatica sento che mi va proprio.

Bevo e spingo. Bevo e spingo.

Di là loro mangiano e parlano.

Poi sono sola con Antonio. Lui seduto sul divano e io accucciata in terra appoggio le ascelle sulle sue gambe. Succede qualcosa.

Le onde vanno e vengono. Ma questa volta io ci sono sopra.

Sono le onde.

Non c'è dolore. Sono sul surf e cavalco le onde che arrivano. Concentrata. Tranquilla. Adesso mi diverto. Mi piace.

Antonio avverte, forse ci siamo.

Sì arriviamo.

Non sembrano proprio convinte. Ma appena mi vedono si iniziano a muovere. Silenziose, rapide, calmissime. Non mi accorgo di cosa fanno. Sono gesti precisi. Giusti. Misurati. Due ballerine perfette, nel ritmo, nella musica.

Discutono sulla luce. Polina ha preso uno specchio per far vedere a Antonio il momento del parto. Sofia non vuole che accenda la luce. Mi piace tutto questo, rende il clima allegro e disteso.

Poi un po' di bruciore. È strano perchè mi viene da ridere.

Adesso anche io vedo quello che sta succedendo. È incredibile. Sono completamente rapita da quello che vedo. Mi piace e mi incita ad andare avanti.

Aspetta un momento. È uscita la testa. Aspetta ancora la prossima.

Ecco ci siamo.

Rimango estasiata a vedere il corpo di mio figlio. Mi aspettavo che fosse piccolo. Invece mi sembra grande. Le cosce piene, le braccia tonde, il petto. Mi sembra bellissimo. Un corpo forte.

Riparato dagli asciugamani caldi prendo il mio fagottino che piange e piange e piange.

Ci sta raccontando il viaggio che ha fatto, dice Sofia. Piange ancora un po' tra le mie braccia.

Ma come lo chiamate allora? Alberto. Sì Alberto. Ci piace.

È nato Alberto. Benvenuto Alberto!

Adesso ha smesso di piangere. Chissà perchè mi aspettavo di sentire una forte emozione, un qualche terremoto interiore.

Mi sento quasi delusa di me stessa di non provare qualcosa di super.

Ripensandoci adesso quello che sentivo era il tempo. Sentivo il tempo scorrere. Lentamente. Come se fossimo tutti dentro il tempo. Assaporando il tempo. Come quando nei film di combattimento il protagonista vede i pugni che gli arrivano al rallentatore, e lui ha tutto il tempo di pararli.

Ci muoviamo. Ognuno fa le sue cose. Eppure il tempo per me è cambiato. Vedo la trama di quello che succede e io ci posso passare dentro, come mi pare. È un tempo pieno, come i movimenti del taichi. Denso. Una sensazione incredibile, che mi accompagnerà nei giorni.

Tutto è già in ordine. Polina se ne sta andando. Sofia rimarrà con noi a dormire. Io ho fatto la doccia. Mi sento piena di forze. Allegra. Vedo le 28 ore di travaglio solo negli occhi di Antonio. Quando torno dalla doccia Alberto sta schiacciando il suo primo pisolino sulla pancia del suo babbo. E ora che si fa? Si va a letto ci si riposa! dice Antonio. Mi sembra di andare a letto nel mezzo di una festa dove ci si diverte un mucchio. Ma alla fine ha ragione lui. Mi addormento di sasso. E tutti e tre dormiamo insieme. La prima notte insieme. È il 10 luglio 2008, da poco più di due ore.

AVA PESCI

 

 


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