Quando la notte...

Durante la gravidanza e dopo il parto ho cercato di sedare l’ansia per questo grande cambiamento leggendo qualsiasi cosa avesse come argomento il parto, l’allattamento e lo sviluppo del bambino. Non volevo che questo avvenimento, da tanto tempo sognato e immaginato, mi cogliesse impreparata, sia da un punto di vista fisico, il travaglio infatti mi spaventava moltissimo, che da un punto di vista mentale.

Una volta nato Pietro, oltre a rendermi conto che “tra il dire e il fare” non solo c’è di mezzo il mare ma oserei dire tutti gli oceani, i laghi e i fiumi di questo mondo e che tutto ciò che avevo letto, seppure utile, non era riuscito a tenere a bada il panico di fronte ai primi cambi di pannolino o ai pianti inconsulti del lattante, oltre a ciò dicevo, ho notato con un po’ di disappunto che in pochissimi libri si accennava vagamente al “come ci si sente” ad essere mamma e non tanto “al come si fa”. Dico questo perché presa dal desiderio di fare bene tutto ciò che c’era da fare, ho tralasciato per molto tempo il modo in cui mi sentivo e mi sento tutt’ora: vedo alternarsi momenti di euforia alle prime ore del giorno ad una certa serietà e compostezza nel pomeriggio, per concludere la giornata con una profonda tristezza e un forte senso di vuoto da cui mi sento letteralmente risucchiata; tutto questo mentre mi occupo del piccolo, ma nonostante sia sempre con lui sento crescere in queste lunghe e interminabili ore un profondo senso di solitudine.
A non farmi crollare sono la consapevolezza che tutto ciò prima o poi passerà e la voglia di riuscire in questo nuovo compito che vuole noi donne attive fin da subito dopo il parto, sorridenti e premurose con i nostri bambini e gentili e dolci con il resto del mondo. Ormai siamo mamme e dobbiamo attenerci a questa immagine da quadretto familiare e poi con un bambino appena nato, si sa, si hanno gli occhi di tutto il mondo puntati addosso e se un giorno, solo uno, ti capita di uscire con i capelli e la faccia stravolti o anche solo di rispondere a monosillabi a qualche inutile domanda vuol dire che sei in piena depressione post- partum.
Sono convinta di non essere l’unica a vivere certe sensazioni e che anche altre mamme sentono quello che sento io; allora, mi viene da dire, perché nei libri non se ne trova che qualche traccia sporadica? Perché tra mamme se ne fa solo un vergognoso accenno a mezza voce? Perché se altre donne ci sono già passate non ne hanno parlato, lasciando intendere che è normale sentirsi così e che quindi non siamo mostri o madri snaturate ma semplicemente madri alle prese con i propri figli?
E’ per tutti questi motivi che quando pochi giorni fa mi sono imbattuta nel film “Quando la notte” di Cristina Comencini, che tratta proprio di questo argomento, mi sono sentita meglio … stando in realtà peggio … cioè: vedere finalmente rappresentati, senza troppi fronzoli, ma così per come sono, i sentimenti che anch’io provo in questo momento, vedere sul viso della protagonista le stesse occhiaie che anch’io porto sulla mia faccia, dovute non solo alla stanchezza ma all’ansia interminabile di lunghe ore scandite dai pianti e dalle continue richieste di attenzione, mi ha fatta finalmente crollare senza sentire il bisogno di fingere che tutto sia perfetto, che io sia perfetta … no, non lo sono, il mio corpo è affaticato, la mia mente non è lucida e mi sento immensamente sola anche quando non lo sono realmente. Tutto questo nel film è mostrato con molta spietatezza, enfatizzato dal paesaggio in cui è ambientato, la montagna, il cui isolamento naturale rispecchia perfettamente quello mentale della madre (anche se mi viene da dire che anche in città certi pomeriggi d’estate, in cui non si sente volare una mosca e tutto sembra immobile, fanno lo stesso effetto e le cicale non bastano a farti compagnia).
Di fronte all’immagine di questa madre, stremata dalla lotta tra l’amore e l’odio nei confronti di suo figlio e dalla fatica incessante di mostrarsi agli occhi degli altri una brava madre, sono crollata e sprofondata in una malinconia molto dolce che mi ha avvolto, facendomi sentire meno sola e finalmente libera di non dover fingere con me stessa.
E ora mi chiedo: perché non ci sono degli spazi adeguati in cui alle madri viene data la possibilità di parlare di come si sentono realmente? Si pensa, e giustamente, alla necessità di corsi pre - parto ma a quella di corsi post parto non ci ha mai pensato nessuno?
Premettendo che non sono un’esperta di cinema vorrei concludere ancora con un accenno al film: leggendo le recensioni critiche mi sono resa conto che è stato stroncato fin dal suo esordio alla Mostra del cinema di Venezia nel 2011; vengono rimproverate alla regista oltre che una certa ovvietà della storia d’amore tra i due protagonisti anche la superficialità nel trattare un tema così delicato come la depressione post- partum: forse si intende con superficialità il fatto di aver trattato certe emozioni per come sono e per come, senza catastrofi tragiche o campanelli d’allarme, investano la tua vita? Il film non sarà un capolavoro cinematografico, ma non a caso le recensioni negative, non solo quelle “tecniche”ma anche quelle riguardanti il soggetto, sono tutte maschili e mi rendo conto, non solo da questo ma anche e soprattutto dal mio quotidiano, quanto possa essere difficile per un uomo comprendere l’importanza di aver affrontato un tema che investe tante e tante donne e ancor più per questo stranamente e cocciutamente taciuto.

Federica

 


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